Senofonte? Adoroooo

10 maggio 2017

influencerLa cosa bella della malattia è che, oltre a non perdere un pomeriggio ad inserire i dati Invalsi, posso guardare un sacco di tv. Di solito, accordo le mie preferenze a quei programmi che gli intellettuali teleguardoni, oppressi da occulta vergogna, cercano di sdoganare attraverso dotti ricami socio-psico-antropologici (recentemente, c’è cascato pure Massimo Gramellini).
È chiaro che una come me ci ha messo poco a finire tra le spire di “The influencer”. Pochi minuti ed ero già dipendente.
Per chi non lo sapesse, “The influencer” è un docureality bellissimo, che segue la vita bellissima di tre persone – due donne e un uomo – bellissime, che fanno un lavoro bellissimo. Cioè: indossare abiti – più o meno bellissimi – che arrivano a vagonate direttamente nel tinello, congelarsi in posa ad ogni angolo di strada, saltare da una sfilata all’altra, salutare un sacco di persone, scendere da una lamborghini e salire su un aereo, attendere come il Messia un invito di Prada. Il tutto postato a raffica sul proprio blog e su tutti i social possibili e immaginabili.
Nell’industria della moda, questi arbitri elegantiarum hanno l’intelligenza di produrre sogni per sé e per gli altri secondo una nuova (?) modalità; si circondano di manipoli di assistenti, truccatori, parrucchieri, fotografi, agenti, web designer, addetti alla comunicazione; disegnano linee di scarpe e costumi da bagno; diventano ambassador di case di moda e marche di cosmetici. Insomma fanno marchette ma con classe, e creano più posti del jobs act. Suppongo ci vogliano grinta, determinazione, buon gusto e soprattutto una salute di ferro, anche perché io, travolta dal riflesso di questo frullato di iperconnessione, lusso e bollicine, dopo dieci minuti avevo già voglia di togliere i tacchi (salvo poi ricordarmi che già languivo, scalza, sul divano).
Onorando il – mio – claim aziendale (“Nella vita bisogna studiare!”), mi sono dunque data a compulsare le biografie del terzetto, in un’estatica overdose di look e consigli che non avrei mai potuto emulare né seguire.
Poi, lampo di genio.
E se lo facessimo anche noi?
Così ho contattato due colleghi – ma più giovani e belli – e l’ho buttata lì…
Immaginatevi se avessimo un mucchio di tempo da perdere: ogni mattina potremmo immortalare il nostro outfit, borse comprese (mai meno di due: l’una contenente il kit di sopravvivenza, l’altra zeppa di libri, compiti, fotocopie, giornali); oppure lanciare una consultazione in merito all’abito più azzeccato per le udienze generali.
I contorni del futuro diventavano via via più nitidi: migliaia di followers sommergono di like il giubbino di jeans con gli strass cucitivi uno ad uno dalla mia mamma… Entriamo in classe col cappotto di montone infilato sul pigiama scompagnato: boato di approvazione!… Coi sandali gioiello in pieno inverno, scendiamo la scala anticendio durante la prova di evacuazione… Gambetta all’insù, ci contorciamo giulivi davanti al distributore automatico (#caffèciofeca #lamacchinanondàresto).
Il web seguirà passo passo la preparazione della valigia per la gita scolastica; sfileremo tra due file di seggiolini sul bus doppio e, se dopo mezza giornata passata a rincorrere torme di quindicenni vi sembreremo arruffati, potremo sempre appellarci allo street style mix and match. La domenica invaderemo le bacheche di selfie mentre, coi calzerotti di lana e il gatto sulle ginocchia, correggiamo torri di compiti.
In fondo, la vita di un insegnante è ricca di occasioni mondane.
La telefonata mentre ci ficchiamo nell’utilitaria di seconda mano acquistata col finanziamento: “Teso, che fai? Non vieni a teatro (ovviamente pagato col bonus, ndr)? Perché? Ah, stai preparando la versione di greco? Senofonte? Adoroooo!”.
Il collegio docenti, sbaciucchiamenti e saluti nell’atrio: “Ciao! Come va nell’altro plesso? Ma quest’anno sei solo qui o completi da un’altra parte? All’agrario? È una figata!”.
Il backstage dei consigli aperti: “Ma com’è possibile che siamo sempre allo stesso punto? Non riuscite a mettervi d’accordo neppure sulle interrogazioni programmate!”.
E le cene delle quinte? Dove lo mettiamo l’evento più atteso del quinquennio?
Al limite, negli open day il preside ci chiuderà imbarazzato nello sgabuzzino della carta o in archivio, tra le vecchie prove d’esame, giustificando la nostra presenza in organico col solito errore dell’algoritmo. Ma presto anche lui capirà che il nostro fashion appeal è la carta vincente della (buona) scuola.

Un giorno vi renderete conto che non stavo scherzando.

 

photo credit KaraK

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