Ancora qualche riga sul corto di Wim Wenders, hommage a Kazuyo Sejima (che così si aggiudica una doppia vetrina nella mostra curata da lei medesima) proiettato in 3D all’Arsenale.
Naturalmente, guai a non osannare l’epifanico materializzarsi di questo ennesimo capolavoro, permeato di magica poesia (cioè la solita roba “intellettuale”, il cui grado di elevazione si identifica col numero di parole sussurrate ogni quarto d’ora da una voce aliena come in una réclame Barilla). Lo immagino, ora starete disprezzando la mia sensibilità da camionista, la mia ignoranza da impiegatuccia che sbotta contro la Corazzata Potemkin. Ma sappiate che questa rozzezza d’animo non mi ha impedito di provare un nobile sentimento: la compassione. Perché i protagonisti di questo “spottone” paiono tutti depressi. Sereni sì, forse lo sono, però nessuno di loro sorride. Fantasmi di un’era glaciale del XXI secolo, fluttuano senza far rumore in una struttura stupenda e inondata di luce – il Rolex Center di Losanna – , scorrazzano su avanguardistici trabiccoli ecocompatibili, meditano davanti ad asettici laptop rigorosamente Apple nella quiete più soffice e grata. Insomma, come minimo dovrebbero avere stampato in faccia un sorriso da Nirvana, invece sembrano vuoti, e tristi. Sono agiati, piacenti, colti, internazionali, fighi, compresa la donna delle pulizie folgorata all’imbrunire sulla via della Sala di Lettura, visto che sì – cacchio! – la cultura dev’essere di tutti. Sfoggiano con disinvoltura un futuro che solo loro si possono permettere. E magari hanno pure un bel Rolex o-r-i-g-i-n-a-l-e al polso. Eppure manco così sembrano contenti. Cavolo, ma come starebbero se vivessero in un casermone di periferia, col bambino della vicina che gnaula oltre il divisorio di cartongesso? Anche i ricchi piangono…