Danilo Correale

10 novembre 2006

Napoli, Franco Riccardo

Candide illusioni. Poetiche evasioni. Palloni gonfiati di luce. Estemporaneo e progettato, un sogno che più bianco non si può. Così Danilo Correale racconta il suo volere volare…

Illuso, ma tutt’altro che povero. Cento ne pensa e mille vorrebbe farne Danilo Correale (Napoli, 1982), promessa della Young Neapolitan Art scelta da Franco Riccardo per proseguire un autunno volutamente e provocatoriamente local. Sperimentatore curioso e meticoloso, restio all’iscrizione in questo o quell’albo professionale, alla prima esperienza in galleria opta per un battesimo effetto flou, archiviando la buona partenza dello scorso anno all’Accademia di Belle Arti, quando le complicate grafiche modulari ispirate ai numeri di Fibonacci attrassero più d’un apprezzamento. Invece di fossilizzarsi sotto gli strati di resina e silicone all’epoca copiosamente impiegati, il “debuttante” presenta qui i frutti di una ricerca che deve avergli fatto passare qualche notte… in bianco. Questo, infatti, il colore che domina un percorso elegante e coerente, cui si perdona anche qualche ingenuità concettuale, come il lattiginoso dittico-manifesto “Art is my illusion. Illusions are your art”. Consapevole dell’assunto lapalissiano “di bianco non ce n’è uno solo”, il piccolo chimico da atelier presta la massima attenzione a non sbagliare candeggio, manipolando la tinta della purezza come bambagia fosforescente, visione fantasmatica, fiocco di luna, sospiro di neon. Disegnando di getto, sulla morbida carta cotone netta di bucato, un esile tracciato “narrativo, non illustrativo” in tre puntate, protagoniste silhouette rabdomanticamente impegnate tra etereo e terreno a “restare, salire, cercare”. O patinando con calcina spenta e delicatamen te azzurrata cornicette ovali baroccheggianti, “foto di famiglia” di emoticon impressi su palloncini. Balocchi gonfiati che, con riverbero perlaceo, si materializzano per tenere sospeso a mezz’aria il pezzo forte, ovvero il “tappeto volante” d’erba adagiato su un’alta zolla di terra, trasposizione indoor dell’azione agreste immortalata in uno dei tre scatti esposti. Immagini dalla gamma limitata ma dal timbro brillante (in cui spicca un verde “gioventù-e-libertà”), nate – spiega l’artista “come progetti”. Lavori di concetto, quasi-quadri che richiedono studiata scelta della location, tempi di posa dilatati, cura del ritmo compositivo e bilanciamento cromatico, senza trattamenti informatici a posteriori. E dev’essere costata una regia complessa soprattutto il Dejunér sur l’herbe, scatto citazionista e dall’equilibrio classico, lirica cristallizzazione di un ameno scenario boschereccio dove alcuni ragazzi languono sul prato, altri gettano lo sguardo oltre le colonne d’Ercole della cornice. Perché “il non vedere è quanto di meglio per vedere quello che vuoi”, dice Correale, venditore di sogni le cui illusioni sono appese a un filo…

anita pepe

mostra visitata il 26 ottobre 2006

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