Per il mare di Kiefer una tempesta di applausi

24 gennaio 2006
Il vernissage alla galleria di Lia Rumma ha visto l’artista acclamato come una star

A Napoli mancava dal giugno del 2004, quando le installazioni e i dipinti esposti al Museo Archeologico Nazionale ne fecero tra i più apprezzati protagonisti degli “Annali delle Arti”. Meno di due anni dopo, è un ritorno alla grande quello di Anselm Kiefer, che con la sua personale da Lia Rumma, inaugurata domenica in via Vannella Gaetani 12, registra l’ennesimo successo di un percorso rigoroso e coltissimo, che l’ha costantemente visto impegnato a misurarsi, oltre   che con la Natura (sulletracce, poi abbandonate, di Beuys), col più scomodo (soprattutto per un tedesco della sua generazione, quella postbellica) degli argomenti: la Storia. Un autentico delirio di pubblico, con l’artista acclamato come una star e pressato da richieste d’autografi: prevedibile, indubbiamente, anche se gli onori tributati a questo severo nume del contemporaneo non sono certo come quei battimani, onesti e funesti, che troppo spesso suonano alla cieca il basso continuo ai vernissage- evento. E che sia un grande ritorno è vero anche per le dimensioni delle tre opere in mostra, visto che per queste nuove proposte site-specific, eseguite nella tenuta francese di Barjac (eletta dal 1993 a proprio eremo-laboratorio), l’artista di Donaueschingen ha sviluppato le proprie idee in formato gigante. Spazi vasti e pensieri profondi come il mare, soggetto di queste “Odi navali”, ricalcanti nel titolo una raccolta di Gabriele d’Annunzio, poeta automaticamente collegato ad una retorica bellicista tronfia e roboante. L’ampollosa sintassi dell’Imaginifico, però, viene qui depurata, frantumata e ingarbugliata in un linguaggio che s’affida alla forza della stesura pittorica, proseguendo negli oggetti assemblati alla tela, quali gli affusolati modellini navali in piombo. Materiale, questo, abituale ed “empatico” per Kiefer, che qui ne rafforza la portata simbolica, non solo quale metafora di una gravezza tipica della propria cifra stilistica, ma anche in virtù dei significati esoterici. È infatti nel prisma aggettante di “Melancholia” (nella foto a destra) (citazione da Durer, analoga a quella di una scultura del 1989) che il metallo precisa indirettamente la propria presenza, come elemento legato al razionale e ordinato “ispiratore” Saturno dalla tradizione alchemica, che il germanico padroneggia in termini filosofici e, si direbbe, “pratici”. I lavori in mostra evidenziano infatti come il tedesco sia davvero in possesso di un’“ars magna” capace di trasformare la materia in sofisticate emozioni visive ed intellettuali, pienamente organizzate secondo l’etica e la poetica di un “discorso mentale” tecnicamente complesso. Superfici ruvide e screpolate, simili a zolle o cortecce, che reprimono nell’agitato perimetro del quadro onde solide come terra. Impasti robusti, che scrivono il manifesto d’un inalterato pessimismo: perché, navigando a vista in questo pelago furioso, Kiefer non sembra affatto aver annacquato la convinzione di un Male radicale imperante nelle umane vicende. I versi del Vate abruzzese si scoprono allora pretesto per una riflessione che urla dal fondo degli abissi intorbidati dall’uragano, dove si scontrano le forze della Storia, in una battaglia destinata alla disfatta su tutti i fronti. In luogo di odi o elegie, dall’infida distesa salata si levano le laudi tormentate del “Mare nostrum”, cimitero d’eroi insepolti dove, se c’è spazio per il mito, si tratta comunque dello sfortunato amore tra “Hero und Leander”, bilanciatissima composizione in precipitosa fuga prospettica. Atmosfere corrusche e timbri metallici, dominati dall’ocra della ruggine, che dà a questo grandioso e tragico respiro epico, degno della miglior letteratura antica o ottocentesca (da Omero a Conrad e Melville), il profumo salmastro, dolce e nauseante insieme, di un arsenale in disarmo. Un precipitato di dolore che, sigillato in “Melancholia” sotto forma di reliquie di se stesso (il poliedro contiene infatti ricordi del vecchio studio tedesco dell’artista), si stempera nelle stanze padronali della galleria: chi avesse il privilegio di accedere nei penetrali di Lia Rumma, scoprirebbe infatti che Kiefer ha lasciato il segno anche qui, con uno dei manichini delle “Eroine” e “Marie durch den Dornwald ging” (“Maria attraversava il bosco di spine”), in cui le pagine plumbee di un gigantesco libro aperto sono inframmezzate da rovi, confronto tra Natura e Cultura che si sgrana nelle litanie lauretane vergate sulle pareti della sala da pranzo, innesto di religione rivelata nell’innata sacralità di questo, barbaro e classico, figlio dell’Europa e del suo tempo tumultuoso.

(Roma, 24 gennaio 2006)

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