Fuoco

1 luglio 2010

Milano, Palazzo Reale

Da quella pira, fuoco incrociato. Un incontro tra arte classica e contemporanea in cui l’arrosto c’è, e saporito. Ma purtroppo si leva più d’un fil di fumo..

Il fuoco ha un’anima? Elementare il quesito che apre la seconda tappa del ciclo espositivo dedicato ai Quattro Elementi, partito nel 2009 con L’anima dell’acqua. La risposta è, più che affermativa, enfatica: il fuoco ha molte anime. E la mostra, replicando il format dello scorso anno, tenta di sviscerarle tutte, non sempre però in modo equilibrato. Più convincente, per capacità esemplificativa e accostamenti, la prima parte del percorso: ampia e studiata la sezione mitologica, che mescola terrecotte e tele moderne (notevoli i Previati), manufatti in opus sectile e video. Tra le fiamme si forgiano i culti egizi e della Grecia arcaica, finché sull’Olimpo spuntano sfolgoranti Fetonte, Apollo e Zeus, l’Aurora “dalle dita di rosa”, Semele incenerita, la protettrice del focolare domestico Hestia/Vesta, contrapposta a Efesto e ai suoi fabbri, curvi sulle incudini in quelle viscere della Terra dalle quali risale la lava (star il Vesuvio, visto da Jacques Antoine Volaire e, due secoli dopo, da Andy Warhol).

Sul fronte esoterico, ardono la fucina dell’alchimista e il falò della Strega (ma quella, sgargiante, di Guttuso stride alquanto col contesto); bruciano l’orfismo, il mitraismo e la stilla d’olio bollente che punisce la curiosità di Psiche nella “bella fabella” ovidiana. Vampe purificatrici che distruggono per rigenerare, dall’araba fenice (stilizzata da Francesco Somaini) ai riti iniziatici, fino alla cremazione. Oppure lingue guizzanti portatrici di civiltà, rivoluzione di cui paga il fio Prometeo, che Böcklin quasi mimetizza con la rupe cui è incatenato. Fuoco come coincidentia oppositorum, dunque, ma sempre impenetrabile, intoccabile. Spazio ulteriore e spirituale, che incute timori ancestrali o asseconda la catarsi.

Elevazione purtroppo incompiuta nella seconda parte, incentrata su soggetti devozionali cristiani: trascurati gli apparati didattici, disomogenea la qualità delle opere, affollate e inadeguate le sale. Gli “inciampi” si moltiplicano nel finale: opinabile il fai-da-te dell’installazione, dove monitor sepolti sotto una catasta di libri raccontano i roghi nazisti di arte “degenerata”. Introvabile un lavoro sul tema? Improponibile invitare un artista -magari giovane – a realizzarlo ad hoc? Perplessità anche sulla limitata rosa dei contemporanei, non tanto per il peso dei nomi

-Burri e Bill Viola, ad esempio -, quanto per il ripetersi di alcune presenze rispetto alla passata edizione. Per dissipare il sospetto di personalismo, non resta che attendere le prossime due tappe.

anita pepe

mostra visitata il 1° aprile 2010

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