Napoli, Galleria Alfonso Artiaco
L’Artico da Artiaco. Estremo, crepuscolare, poetico, Almond scivola e arranca tra i ghiacci, verso un’inattingibile meta. Unico traguardo certo, lo smarrimento del pubblico. Che avanza tentoni…
Cesura. Netta. Forte. Stacco di testa e di pancia. Succede vivendo la mostra di Darren Almond (Wigan, 1971), che il Turner Prize, quest’anno, l’ha mancato d’un soffio, ma in compenso maneggia il tocco delle tempeste. Che scoppiano a sorpresa. E la sua personale da Artiaco è esempio, magistrale esempio, di questo tradimento, di questo sturm un drang che si consuma a danno e beneficio dello spettatore in due momenti: il primo di bassotuba e retina, il secondo tutto di timpani e addominali. Scenario unico, il Polo Nord. Dici Artico e ti viene subito in mente il ghiaccio. Dici ghiaccio e ti viene subito in mente un biancore abbagliante, di calce brinata. Invece, nelle cinque foto della serie Artic plates, il gioco delle libere associazioni coatte salta completamente in aria, in un’atmosfera rarefatta e fuligginosa da allunaggio, disfacendosi in una coltre in scala di grigi nella quale brancolerebbe pure Alan Charlton, ma dove restano intrappolati pure i vapori “ereditati” da Turner (il pittore, non il premio). (altro…)