Per il mare di Kiefer una tempesta di applausi

24 gennaio 2006
Il vernissage alla galleria di Lia Rumma ha visto l’artista acclamato come una star

A Napoli mancava dal giugno del 2004, quando le installazioni e i dipinti esposti al Museo Archeologico Nazionale ne fecero tra i più apprezzati protagonisti degli “Annali delle Arti”. Meno di due anni dopo, è un ritorno alla grande quello di Anselm Kiefer, che con la sua personale da Lia Rumma, inaugurata domenica in via Vannella Gaetani 12, registra l’ennesimo successo di un percorso rigoroso e coltissimo, che l’ha costantemente visto impegnato a misurarsi, oltre   che con la Natura (sulletracce, poi abbandonate, di Beuys), col più scomodo (soprattutto per un tedesco della sua generazione, quella postbellica) degli argomenti: la Storia. Un autentico delirio di pubblico, con l’artista acclamato come una star e pressato da richieste d’autografi: prevedibile, indubbiamente, anche se gli onori tributati a questo severo nume del contemporaneo non sono certo come quei battimani, onesti e funesti, che troppo spesso suonano alla cieca il basso continuo ai vernissage- evento. (altro…)

Domenico Morelli e il suo tempo

12 gennaio 2006

Napoli, Castel Sant’Elmo

Realtà, eros e misticismo in uno dei primi “fratelli d’Italia” col pennello. Uno spaccato risorgimentale che travalica i confini nazionali per dirigersi Oltralpe e ad Oriente. Un bagno di luce, con un pizzico di retorica…

Prima di tutto, accantonate i pregiudizi. Ma se state facendo il biglietto, o ci state pensando seriamente, significa che qualche riserva mentale l’avete già lasciata all’ingresso di Castel Sant’Elmo, dove Domenico Morelli (Napoli, 1823 – 1901) avvalora la proverbiale tesi “repetita iuvant”. Non che il pittore necessitasse di sdoganamenti postumi e riscoperte tardive, ma ai curatori è parso doveroso mettere meglio a fuoco il suo tempo: un centinaio di opere, fra le sue e quelle dei contemporanei (come Hayez, Fattori, Fortuny, Celentano, Faruffini), organizzate in sette sezioni, per dare alla monografia il giusto taglio. Così come giusto sarebbe un taglio al luogo comune che vede nell’Ottocento napoletano, pur non esente da colpe, solo il provinciale e manierato attardarsi di uno stracco naturalismo romantico, impermeabile alle novità forestiere o sterile saccheggiatore delle stesse, tutto introflesso, anzi genuflesso, su una gloriosa tradizione meridionale ancor prima che tricolore. (altro…)

Natura protagonista nello spazio di Francesconi

12 gennaio 2006

Da Umberto Di Marino la prima personale partenopea dell’artista

Dopo le pirotecniche invenzioni di Mark Hosking, Umberto Di Marino ospita nella sua galleria di via Alabardieri 1 un progetto decisamente più severo ed asciutto, che cerca di coniugare valenza estetica e complessità contenutistica, «appagando sia la parte formale che quella concettuale». Parole, queste, dello stesso Luca Francesconi, il quale prosegue in questa prima personale napoletana – visibile fino al 10 aprile – una ricerca che, pur sorretta da un’articolata lucidità speculativa, si concretizza in un percorso decisamente essenziale, silenzioso e (alla lettera) spoglio. È il caso dell’opera che dà il titolo alla mostra: un “ramo nudo”, o meglio denudato, completamente decorticato, ridotto a schietto e pallido scheletro dal quale pendono filamenti di chewing-gum rosa. «L’obiettivo – spiega il giovane artista mantovano – era quella di ricreare un’idea di “alberità” in modo incongruente, anche se in fin dei conti la gomma, adoperata per ricostruirne la “trama”, non è un prodotto del tutto sintetico». Al di là d’una semplicistica contrapposizione tra naturale e artificiale, l’asserzione conferma il presupposto concettuale di lavori aperti a molteplici livelli di analisi, dall’evidenza alla metafora. Come “Sciuscià”, proposta più di tutte site-specific: un grosso blocco di quarzo, «già di per sé capolavoro e prodigio alchimistico», spalmato di lucido da scarpe, rimando al ricco mondo minerale partenopeo e citazione del cinema neorealista, che tradusse in cruda poesia la miseria degli scugnizzi costretti per pochi spiccioli a lustrare le calzature dei “liberatori”; una materia usata, inoltre, per rappresentare il suo stesso capovolgimento, poiché una superficie che generalmente filtra la luce qui, invece, diviene riflettente. La tendenza all’estrema concentrazione espressiva si fa più netta nel ramo di carrubo, per il quale la possibilità di un’interpretazione trascendente, religiosa, si rivela solo la più immediata (ma non per questo la più superficiale), visto che le spine acuminate della pianta – scovata dietro la centralissima Porta Garibaldi a Milano, dove fungeva da recinzione – in realtà sono i frutti in boccio. Collante dell’intero progetto è il limitato intervento sugli elementi prescelti, nell’ambito di un’indagine né casuale né sistematica, scevra da un intento di catalogazione botanica e priva di un preciso “territorio di caccia”: per una fotografia o un disegno – come quelli dedicati agli innesti spontanei, anch’essi esposti – Francesconi può trarre spunto da qualsiasi luogo, compresa la città, facendo così giustizia del preconcetto che identifica lo spazio urbano col deserto vegetale per eccellenza. E di prese di posizione il creativo lombardo se ne concede altre, quali la confutazione del fallito determinismo evoluzionista, o il ripudio del relativismo oggi imperante, rintracciando proprio nella “physis” le “bussole” per l’orientamento della specie umana. Ma, se si contestazione si tratta, essa è aliena da velleità rivoluzionarie e, tanto meno, monitrici, nei confronti di una Natura che, una volta tanto, non è matrigna né vittima.

(Roma, 12 gennaio 2006)

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