Giacomo Montanaro

24 marzo 2007

Napoli, Castel dell’Ovo

La forma dello spirito. La sfida dell’invisibile. Le pulsioni premeditate e i bollenti spiriti di Giacomo
Montanaro, proiettato tra il tormento e l’estasi verso i suoi fantasmi elettrici…

La febbre, l’attacco. È un accesso di sana follia l’urgenza del gesto di Giacomo Montanaro (Torre del Greco, 1971): ogni quadro una performance, un atto liberatorio, ma soprattutto una corsa contro il tempo e la materia. Disseminati nella prima personale napoletana una dozzina di frutti maturati nell’ultimo anno, velocemente ma non in fretta, in seguito ad un progetto mentale che ogni volta si concretizza con straordinaria rapidità in una pittura emotiva. Purtroppo, a smorzarne l’impatto s’intromette la location: prestigiosa sì ma soverchiante, causa di una certa dispersione visiva e psicologica, riparata dall’efficacia dei due lightbox posizionati nei punti più oscuri, quasi emblemi del germe oscuro di un’esecuzione che estrae chimicamente il balenio della figura dalle tenebre dell’ignoto. Rispetto al passato, più ordinata e ponderata, e non priva di una certa propensione sequenziale, è la composizione delle opere, alcune delle quali echeggiano il pathos pregnante di citazioni illustri (La cacciata di Adamo ed Eva di Masaccio), altre, come rilievi di sarcofagi, sembrano pronte al salto verso la tridimensionalità, svelando così la retrostante mano dello scultore. Scultore per formazione, Montanaro, nonostante (altro…)

Beyond the dust

20 marzo 2007

Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Con quattro star in campo, e tutte donne, è facile fare una mostra del genere. Anzi di genere. Eppure di genere c’è giusto il video, in una proposta che non de-genera nella riproposizione di stereotipi…

Dopo i fasti degli Annali delle Arti e qualche episodio espositivo non particolarmente memorabile, il Museo Archeologico torna a rivestire felicemente la funzione di palcoscenico pro tempore per l’arte contemporanea e, scevro da improbabili pretese di contaminazione, accoglie una collettiva piccola ma, per concept ed esiti, di qualità. Non solo per i prestigiosi nomi in passerella, ma perché, nel calderone giallo mimosa degli eventi organizzati per il mese della donna, riesce a sfuggire al capestro di una sterile situazione “time-and-sexspecific”. Così la presenza delle quattro protagoniste non costituisce escamotage attrattivo o criterio preponderante, ma diventa elemento accidentale –meglio: normale- di un progetto conciso e fruibile, non disturbato dall’incombere dell’occasione. Merito ascrivibile alle due curatrici, che curatrici di professione non sono, ma giornaliste, le quali tuttavia non si lasciano intrappolare dalla retorica del mestiere ed evitano di riproporre la diade emancipazione -discriminazione quale unico oggetto/soggetto adatto alla circostanza. Una mostra, insomma, non “al femminile” o femminista. Ma una mostra, che mette in campo uno sguardo ampio e acuto. Campo lungo, medio o ravvicinato, visto che le opere ineriscono perlopiù alla videoarte, con aggiunta di foto o still: pochi ma emblematici pezzi, in un allestimento, purtroppo, alquanto sacrificato (al quale, piacevole imposizione, si arriva dopo aver ammirato i reperti di Villa dei Papiri). (altro…)

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Ann Veronica Janssens

23 febbraio 2007

Napoli, Galleria Alfonso Artiaco

Guardare ma non toccare. E attraversate pure col rosa, in mezzo alla nebbia. Dopo il prologo collettivo del Pan, Anna Veronica Janssens torna da sola a Napoli, dissolvendosi brillantemente in un “quasi nulla”…

Può l’impalpabile diventare tangibile? Può il vuoto mettersi in movimento? Per Ann Veronica Janssens (Folkestone, 1956, vive in Belgio) la risposta è decisamente affermativa. E la dimostrazione concreta, seppur immateriale, è nella sua personale da Alfonso Artiaco, che in Dedica, collettiva organizzata al Pan per celebrare i suoi vent’anni di attività, ha fatto da apripista al solo-show dell’artista, scelta nel 1999 per rappresentare il Belgio alla Biennale di Venezia, la cui riflessione sullo spazio, evoluzione “naturale” degli studi di architettura, prende corpo grazie a intersezioni e mescolanze tra elementi eterei e volatili: variopinti fasci luminosi, vapore diffuso e rarefatto. E i trucchi del mestiere, ovvero i mezzi adoperati per creare questo –come lei stessa lo definisce“quasi nulla”, restano programmaticamente visibili. Perché il fine non è l’illusione ottica, ma la perdita di punti di riferimento, l’emancipazione dalla “tirannia degli oggetti”. (altro…)

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