Alla mostra viene il gruppo. Il gruppo, si sa, la domenica pomeriggio non ha niente da fare. Il gruppo si pianta davanti alle opere perché c’è la guida che spiega. Il gruppo si beve pure la giustificazione di un allestimento che, come dire?, proprio rigoroso non è però fa pathos. Il gruppo però, proprio perché ha la guida, si scansa i pannelli 3 x 6 scritti col rigore scientifico di una mariaventuri e quindi a quel punto il catalogo che se lo compra a fare. Il gruppo è di bocca buona oppure, proprio perché ha la guida, non osa interrogarsi sulla natura di certi accostamenti: basta, chi organizza la mostra sa perché lo fa, e poi guarda quei colori come sono simili, eh già, il criterio sarà quello, stanno bene l’uno vicino all’altro. (altro…)
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Rist in peace
24 novembre 2011
Io nuoto. Nuoto nella sala di un cinema buio.
Io danzo. Danzo nella sala di un cinema buio.
Le mie labbra, i miei seni, le mie mani, i miei piedi danzano. I miei occhi, il mio respiro nuotano. Io nuoto e danzo rannicchiata nella mia poltrona, al caldo. E non chiudo gli occhi, non adesso. Li apro sull’azzurro e sui colori. Verde, marrone, bianco, giallo, rosso, blu. Sui miei occhi si stemperano le velature, dietro la mia nuca sbocciano mandala. L’acqua si spalanca sotto di me.
Ed io nuoto, e respiro.
C’è un bar sotto il mare, lasciato intatto e pulito il giorno prima. Bagliori sugli affreschi, come gli Achei graffiti su un vaso, in una caverna infuocata. Dalla vetrata filtra una luce rossa. Siamo nella città, nel suo cuore elegante e ricco. E ce la siamo lasciata alle spalle, la città con le sue vetrine di lusso. Le persone parlano sottovoce, qui. Qui nel bar sotto il mare, con le bottiglie composte, ordinato come se fossimo davvero tutti vivi. (altro…)
The sound of silence
21 novembre 2011
Presenze, assenze, risonanze. Per riconfigurare i rapporti tra l’ambiente e ciò che contiene, e ritrovare nel suono la traccia del tempo. Capita così, a Genova, che la galleria si trasformi in un “iperstrumento” da accordare. Il colpevole è Marco Lampis, da Chan
Marco Lampis (Cagliari, 1976; vive a Berlino e Cagliari) non è un sound artist tout court. E, più che l’armonia, ricerca l’empatia. “Strumenti” da modulare sulla stessa vibrazione il corpo, lo spazio ed elementi propri della scultura minimal. Dal punto di partenza – i 4’33” di John Cage – alla creazione di un silenzio-presenza, l’allestimento mostra come dall’accidente possa nascere il rafforzativo concettuale. (leggi il resto dell’articolo su Artribune)