Regina di quadri

30 ottobre 2013

Palma del martirio, Palma della vittoria. Scorre tra questi due estremi la biografia di Palma Bucarelli. Avvincente come il libro di Rachele Ferrario, che non ha poi avuto così bisogno di “romanzare” la vicenda di una personalità originale e complessa, che ha attraversato da protagonista mezzo secolo di storia (dell’arte) italiana, dagli anni Trenta ai Settanta.
Follemente adorata, ferocemente odiata. Rigorosa e caparbia, ma anche frivola e capricciosa.
Che Palma non sia donna dai mezzi toni lo si capisce fin dal suo apparire: occhi di ghiaccio, portamento regale. Sportiva, emancipata. Amante dei begli abiti, dei gioielli e dei motori. Dopo gli studi con Adolfo Venturi e la laurea con Toesca, la bella figlia del viceprefetto capitolino inizia la sua irresistibile ascesa. Subito accompagnata dal brusio delle malelingue, cui fornirà materiale per tutta la vita senza curarsene più di tanto. Anzi. Si vocifera, ad esempio, che la giovane – che nessuna brava madre inviterebbe per un tè con le figlie – sia addirittura l’amante di Bottai. Lei lascia dire. Perché il suo obiettivo è uno. Chiaro. (continua la lettura su sdefinizioni)

Like gold to airy thinness beat

3 ottobre 2013

Andrea Massaioli_ Fuochi

“Sì sono acquarelli, su carta satinata e perlopiù di 300 gr…”. 300 grammi. Massaioli la butta subito sul peso. La consistenza, la gravità che ti trascina verso la terra. Eppure sono leggere come veli di sposa queste sue opere, dove i personaggi volteggiano nel bianco come piante acquatiche nei paesaggi sonori di Debussy.
E la bilancia – il peso, la misura del peso – oscilla: carico d’oro è uno dei piatti, ma il prezzo del riscatto è truccato, ché qui i conquistatori son due. E ogni volta, maliziosi, si espongono da un’angolatura diversa mentre il segno impennato del sesso, pur netto, si perde nella grazia d’amore. Amore che era lì, sull’altro piatto, ed è appena volato dappertutto. Il vuoto, libero, librato, canta intorno all’abbraccio, ardente e pudico. (altro…)

Sw…hiss

17 settembre 2013
Valentin Carron_ Ciao n* 6_ 2013. Padiglione Svizzera, 55 Biennale di Venezia. Ph. Daniele Podda, courtesy La Biennale

Valentin Carron_ Ciao n* 6_ 2013. Padiglione Svizzera, 55 Biennale di Venezia. Ph. Daniele Podda, courtesy La Biennale

 

Chi di voi, guardando la foto in alto, non direbbe che questo è un motorino? Eppure è un’opera d’arte. Al limite, ma proprio al limite, vanno bene tutt’e due: motorino e opera d’arte. L’importante è che prendiate coscienza della seconda.
Insomma, l’intorto del ready made è vivo e lotta insieme a noi, solo che tra la ruota di bicicletta e quella del ciclomotore qualche decennio è passato e ce ne siamo accorti. Garage di lusso il Padiglione Svizzera, che meritoriamente fa elaborare allo spettatore lo choc della scorsa Biennale, quando Hirschhorn non fece cadere uno spillo a terra (e comunque ci piacque tanto). Quest’anno Valentin Carron rigenera la purezza degli spazi e invita a seguirlo passo passo con un indovinato trucco da fachiro: il sinuoso serpente di ferro che, a mo’ di tributo, dipana le sue volute in tutto lo spazio progettato da Bruno Giacometti (fratello del “dottor sottile” Alberto), dove aria e luce esaltano i pannelli in vetroresina e gli strumenti musicali spiaccicati, cicli dettati rispettivamente da intenti di riproduzione e distruzione “performativa”. E se il rettile metallico non si morde la coda (inesistente, perché, se lo seguite fino in fondo, vedrete l’altra testolina gettarsi oltre il muro di casa Elvezia), è l’artista ad andare in cortocircuito sul finale, dove appunto fa bella mostra di sé il “Ciao n° 6” “delicatamente restaurato” che, ormai sepolta l’automobile futurista, tenta di salvare dallo scasso un’altra Nike con la marmitta. (altro…)

badamosadie@mailxu.com