Questa è una foto del Padiglione Corea alla Biennale 2013. Non vi preoccupate, non vi è scesa la cataratta. Poi vi spiego.
Cominciamo con la cronaca.
Innanzitutto ci mettiamo in coda.
Mentre aspettiamo, un addetto ci sottopone una liberatoria terrificante, in cui si avvisano i signori visitatori sofferenti di claustrofobia, attacchi di panico, tachicardia, ansia, vertigini e doppie punte che l’entrata è a loro rischio e pericolo.
[Dalla fila inevitabilmente principiano a levarsi impudichi coming out psichiatrici. Arrivano i primi dati aggiornati sulla diffusione mondiale dello Xanax.]
In ogni caso non c’è da preoccuparsi: in primis perché, mal che vada, possiamo scegliere di non entrare in quella stanza (ve l’ho scritto: dopo vi spiego), poi perché – ci rassicura sadicamente l’addetto – “questa è la Corea del Sud, non del Nord”.
Firmiamo, impavidi.
È il nostro turno. Fuori al Padiglione due panchine, diverse paia di scarpe. Che è, una moschea? Lasciate ogni infradito, voi ch’entrate. Ma scalzi non si può: chi non li ha, deve indossare dei calzini (made in Corea? made in China?) forniti dall’organizzazione. [Io ne ho un paio, grigi, da tennis, abbinati alle ballerine profilate di verde fosforescente, scelta che due ore prima mi ha portato sull’orlo del divorzio].
Ci danno un numeretto, indi… (altro…)
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La Sposa Madre
6 giugno 2013
La nuvola intorno, le schegge negli occhi. La morbidezza del tulle, il freddo del marmo. Il gelo di un lutto che annebbia ed abbaglia. Velo su velo. Pieghe su pieghe. Piaghe su piaghe. Quale madre non vorrebbe tenere il figlio in una culla ovattata? E quale sposa non custodirebbe l’amato nel sigillo del ventre? Eppure lui adesso è lì. Un corpo inerte. Chiodi e tenaglie accanto alle gambe spezzate. Attrezzi di lavoro. Ed è un lavoro sporco, quello dei carnefici di ieri. Un lavoro nero, questo dei carnefici di oggi. Nient’altro che questo. Costruire per distruggere: il male.
Perché tra un Uomo deposto dalla croce e uno caduto da un’impalcatura non c’è differenza d’attrito emotivo. Nel suo sangue precipitano tutte le vite. E il compianto sul Cristo morto si trasforma nell’ennesima cronaca di una morte annunciata. Su un cantiere in periferia o in un palazzo del centro, con i documenti o senza, divorato dal fuoco, intossicato dal veleno, bruciato dalla polvere, mentre tua moglie non ha ancora chiuso l’oblò della lavatrice aspettando la tuta sporca.
Nella città che con Pergolesi ha consegnato alla musica il più bello Stabat Mater della storia, e generazioni di braccia piene di dignità, Roxy In The Box firma un’installazione luminosa, ove Pietà e Passione si incontrano in quell’unico luogo Sacro chiamato dolore.
testo critico per l’installazione di
Roxy In The Box_ La Sposa Madre_ Cappella Sansevero, Napoli. Testo di Massimo Andrei, voce recitante Antonella Romano.
(4- 9 giugno 2013)
http://www.museosansevero.it/
http://www.meravigliarti.it/Meravigliarti/WELCOME.html
The Wall
9 maggio 2013
Prendiamo un’altra immagine. Diversa da quella – certo più dirompente – promossa sulla copertina del catalogo e rilanciata in primo piano su carta e in Rete.
Come perno di una lettura della mostra di Jeff Wall, partiamo invece da Vancouver, 7 dec. 2009, protagonisti lo storico del Costume Ivan Sayers e Virginia Newton-Moss, mannequin in abito d’epoca. Perché questa foto? Prima di tutto perché, banalmente, è stata scattata nella città natale del fotografo. Poi perché potrebbe costituire un manifesto della sua poetica. In senso letterale, delle sue linee guida: la diagonale. Costante geometrica in quasi tutti i lavori esposti al PAC, tagliati su una prospettiva angolare che ne approfondisce l’intenzione immersiva, perfino in opere dal soggetto apparentemente insignificante, o forse ironico e orientato ad una traslazione di significato: la vaschetta/barchetta d’alluminio con un residuo di Peas & sauce è fragile metafora della deriva urbana? (altro…)