Una delle cose che mi piacevano di più da bambina/adolescente era accompagnare mia mamma a comprare le pizze da Peppino sott’o ponte, detto Peppe ‘o nzevuso. Restavo affascinata dall’abilità delle mani che tiravano e stendevano i panetti fragranti, dal gesto largo nello spargere la mozzarella e l’olio dalla caraffa di rame, dal misterioso antro infuocato del forno a legna, dalla maestria di chi manovrava le due palette (una di legno, l’altra di ferro), adagiandovi sopra la pizza, ruotandole o rinforzando i trucioli ardenti; m’inebriavo del caldo profumo che si spandeva intorno a noi, che aspettavamo dietro il bancone, magari con la birra o la coca presa all’ultimo momento che trasudava freddo. Quand’ero piccola, tra l’altro, non esistevano ancora i cartoni singoli, perciò le pizze fumanti venivano piegate e impilate in un vassoio, poi incartato. Ecco, volevo dirvi che io spesso ho nostalgia di questa goccia della mia vita. Unta e nzevosa, però non mi scivola dal cuore.
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Vero Veronese
29 settembre 2014
Se (giustamente) vi preme condividere con qualcuno l’esperienza di questa mostra, state attenti a non afflosciarvi davanti a reazioni come “Ma no, a me Veronese non…” “… Veronese? Mah”.
Tenete duro, perché potrebbe accadere. Capita che uno dei più grandi pittori del Cinquecento possa essere ancora liquidato con un giudizio appena sufficiente. Perché? Forse perché si porta appresso la nomea di limpido e festoso decoratore, lontano dal mito inarrivabile di Tiziano e dalla tetra bulimia di Tintoretto? Il marchio di cantore dell’apoteosi della Serenissima, stretto tra opulenza controriformata e morbida sensualità? Troppo superficiale, troppo plastico, troppo acceso?
L’esposizione della Gran Guardia, pur senza essere rivoluzionaria, sembra quasi un atto di coraggio. Un punto di partenza che, esauritisi i mesi di permanenza in loco – mesi ben scelti, viste la coincidenza con l’estate e la stagione della prospiciente Arena –, invita a curiosare, oltre che nelle rassegne in programma fino al prossimo anno, in quel “circuito Veronese” stabile, ramificato tra Venezia e la terraferma. Luoghi che videro rifulgere piuttosto precocemente l’astro di Paolo Spezapreda (Caliari era il cognome materno), se è vero che poco più che ventenne debuttava nelle sale del Consiglio dei Dieci. (altro…)
Il corpo di Frida. Amen
18 settembre 2014
Qualche giorno fa ho visto quest’immagine su Facebook. Ho pensato: perdinci, qual singolare accolita di femmine disilluse! Poi, indagando un po’, ho scoperto che – scritta a parte1 – la vignetta è un’opera dell’artista messicano José Rodolfo Loaiza Ontiveros. Non ho informazioni né argomenti tali da poter dire se questa sia o meno una “rinconografia”© tout court, ma, in ogni caso, ignoro cos’abbia Frida Kahlo in comune con: una che non si è sposata il ciuccio ma poco c’è mancato; un’altra che faceva i servizi nella casa dei minatori dove s’era imbucata; un’altra ancora che s’è messa col principe azzurro grazie al piede e non, più prosaicamente, alla sede della “fortuna” (bizzarra, l’anatomia!). (altro…)