Molte domande crivellano questo Tiziano a Brescia.
Il punto debole non sta tanto nell’aver imperniato il progetto su opere che in mostra non si vedono: l’una – il Polittico Averoldi – in quanto oggettivamente inamovibile dalla Collegiata dei Santi Nazaro e Celso; le altre – le tre tele con le Allegorie di Brescia – poiché andate distrutte durante un incendio alla Loggia nel 1575, pochi anni dopo l’esecuzione.
Il punto è che, a dispetto delle grandi attese legittimamente suscitate dal “title-role”, di emozioni per il grande pubblico (quello che paga, e che in passato ha generosamente affollato il Santa Giulia) ce ne sono pochine, e anche sotto il profilo scientifico si naviga in bonaccia. (altro…)
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Extrema ratio
11 marzo 2013
Improbabile, ma non impossibile. Al di là dei tumulti della Storia, è il caso a governare la vita dei mortali. Il colpo di testa. L’imprevisto, talvolta bizzarro. Questa la filosofia che lega i lavori di Marco Porta, in un percorso composito cui fa da sottotesto una certa indolenza bucolica, una dolcezza da favola pastorale che, quando sta volgendo all’occaso malinconico, scarta di lato con ironia. Sarà per l’introitus, accompagnato dai campanacci che risuonano per l’elegante scalone, facendo subito détournement; sarà per il confronto con il contenitore, il settecentesco Palazzo Natta-Vitta, dal quale l’artista riesce a non farsi “divorare”. Banco di prova il bellissimo salone, dove tre “oggetti” definiscono altrettante possibili chiavi della mostra: natura, oscillazione (fisica e metaforica), artificio. Poliedri come cespugli costruiti di rose variamente addensate e caduche, tra geometria quattrocentesca e vanitas barocca. Un nodo di mani pende dal soffitto, spigato di rami e, chissà perché, pur in un ambiente così mondano ed incongruo viene in mente una variante potenziata dello stemma francescano.
Earth art: forza primigenia, nel fuoco che fonde il bronzo e soprattutto nei “prelievi” diretti dalla terra. Sassolini di sterco, organizzati in forma di cornici: che lungo i sentieri agresti si trovino sistemati così razionalmente è difficile, ma… si può escludere del tutto?
Analogamente, gli insiemi aleatori si raggruppano nelle grandi tele dove, sulla preparazione bianca che lascia a nudo il cammino del pennello, un creatore stravagante ha sparso manciate di minuscole mosche, “accerchiate” come una coltura in vitro o disposte in organizzato corteo. Le avete mai viste così? Eppure, potrebbe accadere. Remote, misteriose epifanie. Per incidente statistico, scherzo di natura.
Più narrativa la tranche della mostra accessibile dal cortile, nella quale meglio si avverte l’energia del flusso, esplicitato dalla presenza dell’acqua. La grande vasca rotonda potrebbe evocare, esteticamente, alcune installazioni di Mona Hatoum e di Anish Kapoor, dove la circolarità regolare e perfetta asseconda la monotonia del sempre. Il dito bronzeo di Porta, invece, ruotando traccia, sul pelo della superficie liquida, figure deviate in spirali. Movimentare lo stagno del tempo è dunque una fatica di Sisifo? I “corsi e ricorsi” sono il disegno a mano libera di un motore immobile, ma illogico? Un soffio di lepida anarchia che dura l’attimo di una contraddizione: il rivo, irreggimentato in vasche, prelude al trionfo mimetico del tronco, dondolante nell’abside del punto di fuga. Più vero del vero, ma solo all’apparenza. Aere perennius, ma altalenante.
Marco Porta_ Abito il sogno che mi abita_ Casale Monferrato, Palazzo Natta-Vitta. A cura di Luigi Cerutti
(3 marzo – 5 maggio 2013)
Lunga vita alla Triennale
22 marzo 2012
Si parte ab ovo. Nel senso che la mostra inizia proprio così, con quella specie di ile flottante che altro non è se non una pancia arrotondata dalla gravidanza: quella della moglie di Gabriel Orozco, affiorante come un guscio dall’acqua, simbolo primigenio di fertilità. Prima ancora, però, ci ricorda Anish Kapoor, c’era l’embrione, la bolla d’aria scoppiata a forzare il chiuso monolite. Di qui in avanti, la strada da percorrere è lunga. Anzi, è sempre più lunga, come spiega Da zero a cento fin dal prologo: la serie di Hans Peter Feldmann che, per ogni anno dagli otto mesi al secolo, fotografa una persona legata agli affetti o all’entourage dell’artista. (altro…)