George Lilanga

27 gennaio 2006

Napoli, Franco Riccardo Arti Visive

Nel continente nero… alle falde del Vesuvio. È un inno alla vitalità quello di Lilanga che, per amore della sua terra, ne sfidò i pregiudizi. In mezzo alla colorata confusione degli smalti, anche il mal d’Africa…

Traditore. Stregone e seguace dello stregone. Tutto questo è, o meglio era, George Lilanga (Masasi, 1934 – Dar Es Salaam, 2004), che osò offendere col colore la serietà dell’ebano e oltraggiare la scultura trasformandola in pittura. Che violò un tabù, sottraendo la creazione d’immagini all’appannaggio magico-sapienziale della trasmissione ereditaria (di qui la metafora dell’artista-stregone) ed inserendola in un sistema imprenditoriale. Vale a dire, in un circuito di diffusione e di consumo. Desacralizzata tra le pareti di uno studio che, all’apice del successo faticosamente guadagnato, sfornò centinaia di pezzi, la produzione di Lilanga iniziò così a parlare al mondo della Tanzania e della tradizione makonde. Non fu facile, ma alla fine, dopo l’ostracismo e l’anatema dei suoi, tanta “tracotanza” venne perdonata, e perfino premiata. Grazie a lui, pure l’Occidente dovette accorgersi che il Continente Nero era, in realtà, colorato, anzi coloratissimo -lontano da quel primitivismo che pure, all’inizio del Novecento, aveva calamitato le Avanguardie assetate di novità, con Pablo Picasso in testa- , e che anche in una realtà in via di sviluppo un artista poteva farsi businessman e manager di se stesso. (altro…)

Domenico Morelli e il suo tempo

12 gennaio 2006

Napoli, Castel Sant’Elmo

Realtà, eros e misticismo in uno dei primi “fratelli d’Italia” col pennello. Uno spaccato risorgimentale che travalica i confini nazionali per dirigersi Oltralpe e ad Oriente. Un bagno di luce, con un pizzico di retorica…

Prima di tutto, accantonate i pregiudizi. Ma se state facendo il biglietto, o ci state pensando seriamente, significa che qualche riserva mentale l’avete già lasciata all’ingresso di Castel Sant’Elmo, dove Domenico Morelli (Napoli, 1823 – 1901) avvalora la proverbiale tesi “repetita iuvant”. Non che il pittore necessitasse di sdoganamenti postumi e riscoperte tardive, ma ai curatori è parso doveroso mettere meglio a fuoco il suo tempo: un centinaio di opere, fra le sue e quelle dei contemporanei (come Hayez, Fattori, Fortuny, Celentano, Faruffini), organizzate in sette sezioni, per dare alla monografia il giusto taglio. Così come giusto sarebbe un taglio al luogo comune che vede nell’Ottocento napoletano, pur non esente da colpe, solo il provinciale e manierato attardarsi di uno stracco naturalismo romantico, impermeabile alle novità forestiere o sterile saccheggiatore delle stesse, tutto introflesso, anzi genuflesso, su una gloriosa tradizione meridionale ancor prima che tricolore. (altro…)

Darren Almond

19 dicembre 2005

Napoli, Galleria Alfonso Artiaco

L’Artico da Artiaco. Estremo, crepuscolare, poetico, Almond scivola e arranca tra i ghiacci, verso un’inattingibile meta. Unico traguardo certo, lo smarrimento del pubblico. Che avanza tentoni…

Cesura. Netta. Forte. Stacco di testa e di pancia. Succede vivendo la mostra di Darren Almond (Wigan, 1971), che il Turner Prize, quest’anno, l’ha mancato d’un soffio, ma in compenso maneggia il tocco delle tempeste. Che scoppiano a sorpresa. E la sua personale da Artiaco è esempio, magistrale esempio, di questo tradimento, di questo sturm un drang che si consuma a danno e beneficio dello spettatore in due momenti: il primo di bassotuba e retina, il secondo tutto di timpani e addominali. Scenario unico, il Polo Nord. Dici Artico e ti viene subito in mente il ghiaccio. Dici ghiaccio e ti viene subito in mente un biancore abbagliante, di calce brinata. Invece, nelle cinque foto della serie Artic plates, il gioco delle libere associazioni coatte salta completamente in aria, in un’atmosfera rarefatta e fuligginosa da allunaggio, disfacendosi in una coltre in scala di grigi nella quale brancolerebbe pure Alan Charlton, ma dove restano intrappolati pure i vapori “ereditati” da Turner (il pittore, non il premio). (altro…)

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