Forse non è giusto, forse non è appropriato. Come si può infatti definire T’odi una “retrospettiva”? Lo sarebbe, se ci limitasse a scorrere la cronologia delle opere. Lo sarebbe, se si prendesse come unico parametro la lunga, lunghissima carriera di Bruno Ceccobelli. Ma non lo è. Proprio perché lui, l’artista, torna nella sua Todi senza nostalgia di sé stesso, proponendosi invece con un salto in avanti e un allestimento a dir poco scenografico (guarda caso, la vernice coincideva con l’apertura del Festival teatrale che da 32 edizioni anima la cittadina umbra).
Sala delle Pietre “tranciata” in altezza, con una licenza che però non sacrifica la grandiosità dell’aula, lungo le cui pareti corre l’impalcatura che accompagna e obbliga alla visione dall’alto di lavori che coprono un arco di circa quarant’anni: 1981-2017. Provate a distendere, fisicamente, questo tempo nello spazio. A visualizzarlo. A misurarlo. A immaginare in quanti modi un artista possa impiegarlo senza ripetersi, senza apparire monotono, senza trasformarsi in un cliché. Senza annoiarsi e impoverirsi. E come possa, poi, offrire – e non esibire – ciò che ha prodotto, affrontando con giudizio la crudele necessità di una cernita. (altro…)