Danilo Correale

10 novembre 2006

Napoli, Franco Riccardo

Candide illusioni. Poetiche evasioni. Palloni gonfiati di luce. Estemporaneo e progettato, un sogno che più bianco non si può. Così Danilo Correale racconta il suo volere volare…

Illuso, ma tutt’altro che povero. Cento ne pensa e mille vorrebbe farne Danilo Correale (Napoli, 1982), promessa della Young Neapolitan Art scelta da Franco Riccardo per proseguire un autunno volutamente e provocatoriamente local. Sperimentatore curioso e meticoloso, restio all’iscrizione in questo o quell’albo professionale, alla prima esperienza in galleria opta per un battesimo effetto flou, archiviando la buona partenza dello scorso anno all’Accademia di Belle Arti, quando le complicate grafiche modulari ispirate ai numeri di Fibonacci attrassero più d’un apprezzamento. Invece di fossilizzarsi sotto gli strati di resina e silicone all’epoca copiosamente impiegati, il “debuttante” presenta qui i frutti di una ricerca che deve avergli fatto passare qualche notte… in bianco. Questo, infatti, il colore che domina un percorso elegante e coerente, cui si perdona anche qualche ingenuità concettuale, come il lattiginoso dittico-manifesto “Art is my illusion. Illusions are your art”. Consapevole dell’assunto lapalissiano “di bianco non ce n’è uno solo”, il piccolo chimico da atelier presta la massima attenzione a non sbagliare candeggio, manipolando la tinta della purezza come bambagia fosforescente, visione fantasmatica, fiocco di luna, sospiro di neon. (altro…)

George Lilanga

27 gennaio 2006

Napoli, Franco Riccardo Arti Visive

Nel continente nero… alle falde del Vesuvio. È un inno alla vitalità quello di Lilanga che, per amore della sua terra, ne sfidò i pregiudizi. In mezzo alla colorata confusione degli smalti, anche il mal d’Africa…

Traditore. Stregone e seguace dello stregone. Tutto questo è, o meglio era, George Lilanga (Masasi, 1934 – Dar Es Salaam, 2004), che osò offendere col colore la serietà dell’ebano e oltraggiare la scultura trasformandola in pittura. Che violò un tabù, sottraendo la creazione d’immagini all’appannaggio magico-sapienziale della trasmissione ereditaria (di qui la metafora dell’artista-stregone) ed inserendola in un sistema imprenditoriale. Vale a dire, in un circuito di diffusione e di consumo. Desacralizzata tra le pareti di uno studio che, all’apice del successo faticosamente guadagnato, sfornò centinaia di pezzi, la produzione di Lilanga iniziò così a parlare al mondo della Tanzania e della tradizione makonde. Non fu facile, ma alla fine, dopo l’ostracismo e l’anatema dei suoi, tanta “tracotanza” venne perdonata, e perfino premiata. Grazie a lui, pure l’Occidente dovette accorgersi che il Continente Nero era, in realtà, colorato, anzi coloratissimo -lontano da quel primitivismo che pure, all’inizio del Novecento, aveva calamitato le Avanguardie assetate di novità, con Pablo Picasso in testa- , e che anche in una realtà in via di sviluppo un artista poteva farsi businessman e manager di se stesso. (altro…)

Christian Leperino – Sur-faces

28 aprile 2004

Napoli, Galleria Franco Riccardo Artivisive

Uno sguardo a Francis Bacon e uno all’Espressionisto tedesco. Il tutto contaminato da un pizzico di graffitismo. Sangue dappertutto nella personale del pittore napoletano, reduce da un soggiorno studio a Berlino. Per indagare ben oltre la ‘sur-face’…

Sangue. Dappertutto. Cola, schizza, esplode. Eppure la mostra di Christian Leperino (1979) non è una semplice emorragia pittorica, perché il ragazzo ha talento e idee e, a dispetto del titolo, indaga ben oltre la “sur-face”. Con la testa, scava nel corpo. Anzi, nei corpi. Innanzitutto nel proprio, concedendosi un lacerato autoritratto alla Francis Bacon, prima di incamminarsi su più tortuosi sentieri, cercando di coagulare gli apporti più vari avidamente assorbiti in un percorso d’indagine ad alto impatto. Tutto comincia, anzi continua, a Berlino, dove Leperino arriva l’anno scorso: in tasca, una borsa di studio al Kunst Werke, vinta a Bologna quale migliore under 30 ad ArteFiera. Germania uguale espressionismo. Ma pure Shoah, underground e, soprattutto, cosmopolitismo. Quanto basta per instillare nel ricettivo giovanotto napoletano una nuova Welthanschauung, da contaminare alla bisogna con il graffitismo metropolitano, l’arte tribale e –senza dimenticare il patrio suolo– il Caravaggio pasoliniano “di strada” e il filone più truculento e tenebroso del Seicento. (altro…)

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