Tubi rossi e teli bianchi. Tavolati di nudo legno. A guidare, orientare la visione.
Non tutte le sculture hanno bisogno dello sguardo a trecentosessanta gradi, tanto più che quelle di Rodin giocano sovente a negarsi: volti nascosti, fusi gli uni negli altri; corpi raccolti, le cui tornite e imprevedibili emersioni sostituiscono spesso la “parola” illeggibile sul viso.
Le impalcature dell’allestimento ideato da Didier Faustino, a metà fra l’atelier e l’officina, si addicono alla scultura, disciplina convenzionalmente ritenuta “banausica”. Del lavoro sono evidenti le tracce concrete, nelle masse che emergono dalle pietre gonfie come nuvole, nelle diverse declinazioni di non finito che lasciano nudi i segni degli strumenti. Lavoro come produzione, visto che l’artista, realizzati i bozzetti, demandò sempre più spesso l’esecuzione agli sbozzatori. Tramonto del titanismo romantico, specchio dei tempi moderni.
Le opere esposte a Milano sono perlopiù “piccole”, rari i pezzi di dimensioni monumentali. La solennità risiede piuttosto nelle espressioni: il ritratto di Puvis de Chavannes, per esempio, dove il gioco della luce sul velo della superficie anima la testa che sorge, massiccia, dal blocco. (altro…)